In vetta al Prena per la Brancadoro

Giorgio in vacanza, Luca che smania per cercare grandi avventure e rimpinguare la sua veloce scalata nella classifica del Club2000 ed io che vorrei cercare nuove conquiste ma senza tradire il compagno di sempre. Scelgo una quaterna possibile solo nei miei progetti: salire il Veticoso e cancellare così questa mia mancanza, per poi convergere sul Camicia, Tremoggia e Siella per accontentare Luca e le sue smanie, ma tornando alla macchina e da li a Fonte Vetica. Parcheggiamo strategicamente dopo l’ultima curva prima del rettilineo che porta a Fonte Vetica; rappresentava un buon compromesso per il ritorno dal Siella o dalla “sosta arrosticini” che avevamo messo in chiusura della giornata. Alle 6 e 15 siamo pronti per intraprendere l’attraversamento del piano. Un cielo grigio non prometteva una sfavillante giornata come era invece nelle previsioni. Davanti, non sembravano lontane, le moli del Prena e del Camicia. Lì sotto, il Veticoso sembrava, nonostante i suoi cinquecento metri di altezza una mezza collinetta erbosa. Nell’avanzare notavo una netta linea azzurra del cielo verso ovest che avanzava velocemente; mi metteva di buon umore perché mi faceva intravedere un rapido miglioramento delle condizioni e solo Dio sa come sia importante da queste parti godere dei favori del meteo. Dicevo e vedevo la nostra montagnetta molto vicina ma le distanze in quel piano si annullavano. Solo il Prena sembrava sempre più vicino con la sua rugosa mole e sempre più affascinante. Due ore ci abbiamo messo ad attraversare il piano. Una moltitudine di fiori ci hanno accompagnato ed abbiamo fotografato. Attraversata la fiumana di ghiaia da sgretolamento delle montagne, un fenomeno affascinante quanto insolito proprio di questa zona di Campo Imperatore, prendiamo a salire la coppia di “colline” che formano il Veticoso, anche dette le Veticole. Banali a vedersi per le prospettive sfalsate completamente dal vicino enorme Prena , quanto sottovalutate per quanto ci hanno fatto ansimare. Era da un po’ che camminavamo speditamente e la salita si è fatta sentire; da prima la più bassa delle Veticole con i suoi 1915 metri e poi, dopo un susseguirsi di selle la vetta vera e propria. Prima di questa, a cinque minuti dalla cima la sorpresa forse più bella della giornata; un tratto erboso, disseminato di rocce bianche era completamente coperto da una miriade di fiori di tutti i colori. Dominavano le viole dai toni di tutte le cromie del giallo e del viola ma fiori a me sconosciuti per nome ma visti tante volte sui sentieri riempivano le chiazze lasciate libere dalle viole. Azzurro, celeste, giallo, viola, il verde dell’erba ed il bianco delle rocce e tutte le sfumature che la nostra vista può intuire dei colori appena citati; era un trionfo di fiori e delicatezza, una sorpresa entusiasmante tanto che per dieci minuti a contare erano solo i nostri sensi e la smania di immortalare quella moltitudine di colori. Per dieci minuti non è esistita ne la mia centoquarantaquattresima vetta ne il fascino del Prena. E’ stata dura lasciare quel paradiso di colori e di sensi. Raggiungiamo il Veticoso alle 8 dopo poco meno di due ore di cammino. Il progetto di tornare indietro si frantumava nei tempi sottovalutati e non solo. Intuivo nello sguardo e nei commenti di Luca che il fascino arcigno a cupo del Prena aveva fatto l’ennesima vittima da colpo di fulmine. Lì sotto, con quella montagna unica nel suo genere, che ti domina e ti sovrasta, è difficile resistere al richiamo. E come novelli e spovveduti Ulisse non siamo riusciti a resistere al richiamo delle Sirene. E a nulla sono valsi i miei dubbi di riuscita della salita; Luca non voleva sentire ragioni. Ricordavo la Via dei Laghetti, poco lontana da lì e percorsa solo tre anni prima; ricordo come alcuni tratti fossero risultati proibitivi per le mie capacità di allora e che superai solo grazie al contributo di amici più esperti. Sapevo e parlavo a voce alta; lì davanti, scendendo sulla sella poco evidente, in mezzo a quelle cuspidi e sfasci di roccia iniziava, da qualche parte la Via Brancadoro. Non era prevista la salita del Prena, non mi ero portato attrezzatura. Pensavo alle difficoltà della Via dei Laghetti e temevo un qualche punto di salita particolarmente ostico. Se ci fosse stata proibita la salita saremmo dovuti scendere e scendere senza attrezzatura sarebbe risultato ancora più complicato. Parlavo al vento; Luca ormai era carico come una pallottola di un fucile. Non voleva sentire ragioni, si vedeva già tra quel groviglio di pinnacoli e rocce in bilico. E mi sono trovato a scendere la sella tra i due monti, e mi sono trovato a cercare la via di inizio della Brancadoro. Una sorta di attrazione e repulsione mi faceva muovere verso la montagna; la temevo ma cercavo quel banco di prova e alla fine in men che non si dica ero immerso nel sentiero che saliva ripidissimo. Trovata la targa di inizio sentiero ed i primi bolli giallo-rossi Luca si è buttato con tutto il suo impeto verso l’alto. La mia titubanza era da freno, ero anche un po’ lamentoso perché in cuore mio sentivo che indugiavo nell’azione e che c’era il timore di non farcela. Ma è durata poco. Ben presto l’impegno per superare i tratti più subdoli e soprattutto quello per non perdere i segnavia piuttosto sbiaditi e maltenuti mi hanno fatto mettere da parte ogni remora. Luca davanti a salire spavaldo ed in perfetta sintonia con la roccia, io dietro a cercare di tenere testa alla suo immenso dinamismo. Era un portento; forse per la prima volta al cospetto di difficoltà di un certo tipo, a dover esprimere passaggi di secondo grado al limite del terzo con tratti anche infidamente esposti, si muoveva con una naturalezza invidiabile. Era nel suo elemento naturale; lo guardavo e non capivo se a portarlo così avanti era la sua spavalderia mista ad incoscienza o il suo naturale feeling con la roccia. Decisi solo più tardi per la seconda ipotesi. Le tante foto che ci siamo scattati nei momenti cruciali di qualche passaggio dimostrano il divertimento delle azioni che intraprendevamo. Eravamo felici e sorridenti e forse, a pensarci ora, le mie ansie erano mal riposte. Una passaggio esposto su una roccia in contrompendenza e con una esposizione accentuata mi ha visto un po’ goffo e Luca è stato pronto a sorreggere la mia azione. L’allievo stava in quel momento e definitivamente superando il maestro anche se maestro non mi ci sono mai sentito. Con Luca mi sono sentito solo e sempre la molla che lo ha spinto verso questa sua passione inespressa, niente di più. Poi, più su, uno stretto camino obliquo; le spalle non passavano; giocavamo a fare gli alpinisti, incastrati tra quelle rocce a puntare a compasso gambe e braccia per salire. E una volta sopra trovarsi soddisfatti di un passaggio affascinante e superato di slancio. Ed una volta sopra accorgersi che il Veticoso la sotto era ormai una piccola bassa collina. Si saliva rapidamente. Abbiamo anche sbagliato sentiero e ci siamo trovati su una guglia senza via d’uscita, Uno spezzone da 6 mm che mi ero portato a nulla serviva per scendere nell’altro versante che lasciava intravedere lontani segnavia; siamo dovuti tornare indietro e la pena non è stata poca. Riusciti a riprendere il sentiero che si incastrava in discesa in un altro camino, quasta volta più agevole riprendiamo a salire. Le difficoltà si ripetono ma ormai abituati a superarle di slancio ci sentiamo, anzi è il caso di dire che mi sono sentito più sicuro. Solo una stanchezza progressiva si stava impossessando delle mia gambe. Mi sentivo insolitamente stanco, troppo per le mie abitudini. Il sentiero saliva velocemente, le difficoltà alpinistiche ed i passaggi esposti tenevano alta la produzione di adrenalina, ma la stanchezza non era giustificata. Solo dopo, fuori dalla frenesia dell’azione ho capito che era dovuta al ritmo imposto da Luca e dalla mia ostinazione a mantenerlo. Devo imparare a gestire meglio il ragazzo mi sono detto, ma che bello vedere in lui quell’antico entusiasmo che è stato anche mio non molto tempo fa! I panorami intorno a noi erano impressionanti; rocce in bilico su nulla, equilibri precari di massi enormi che ci sovrastavano, vuoti e profondità ogni dove e il piano la sotto sfregiato dalle fiumane. Mi sembrava impossibile essere lì, non lo avevo previsto, pensato. Ma cominciavo a sentirmi bene, era euforico cimentarsi sui quei passaggi e salire, salire e vedere la vetta sempre più vicina. Poi abbiamo intercettato la via dei Laghetti e lì ho capito che era fatta; le difficoltà sarebbero svanite e solo una salita di roccia in roccia ci avrebbe accompagnato in vetta. E poi il primo braccio della croce; eravamo davvero arrivati. Luca non mi ha più aspettato e non gliel’ho chiesto. Era troppo bello vedere il suo entusiasmo. Lo raggiungo dopo neanche cinque minuti; la vetta era già abitata e per quarto in questa giornata ho trovato riparo dal vento sotto la cresta. Il solito panorama grandioso dalla cima di una montagna grandiosa. Erano le 10 e 30. Salivo per la terza volta il Prena e per la terza volta avevo compiuto una via diversa dalle precedenti. Ero soddisfatto anche se l’ombra dell’aver osato era ancora in parte dentro di me a contrastare la gioa dell’impresa. Siamo rimasti una trentina di minuti. Intanto altri stanno arrivando; una terza coppia tocca la vetta e riparte e poi noi proprio mentre stava arrivando un folto gruppo di escursionisti. Prendiamo per la via normale verso il Vado di Ferruccio, il solito nevaio presente fin quasi a ridosso dell’estate mette un po’ in difficoltà Luca. Mi rifaccio bonariamente della sua “sfrontatezza” in salita . Ma commettiamo un’errore. Scendiamo stravolti dalla stanchezza tutto il pendio ed il nevaio e solo giù in sella ci rendiamo conto di non aver studiato la via di salita di quelle creste che avevo annoverato essere la Cimetta del Prena. Binocoli alla mano Luca cercava una via di salita e pensava anche di averla trovata. A stento l’ho trattenuto in quella che sarebbe stata una salita impossibile oltre che massacrante ed inutile. Doppio errore che si concretizzerà una volta a casa e dopo sarò più preciso sul perché. Convinto Luca a desistere dall’impresa e denunciata la mia stanchezza riprendiamo a scendere. Ormai è nell’aria anche la rinuncia all’intero giro con la salita al Camicia fino al Siella. Erano le 11 e mezza, una salita terribile ci avrebbe aspettato con le forze ormai ridotte di molto. Non me la sentivo e Luca forse colpito da pietà nei miei confronti si è fatto convincere senza troppa fatica. Tra un sentiero scivoloso e gli ultimi rimasugli di un nevaio lento a sparire guadagniamo il Vado di Ferruccio. Non sostiamo e prendiamo a scendere. Lo ricordavo un sentiero noioso ed internabile e così si è dimostrato. Lentamente e privi di stimoli scendiamo ormai paghi della giornata e intimoriti dal lungo tratto da attraversare sul piano. Intuiamo che tutto il popolo della montagna aveva lasciato l’auto nella sterrata della vecchia miniera di Lignite, per qualche carta, di Bauxite, ma ci consoliamo che la scelta era venuta non tanto per zelo e rispetto del territorio quanto per un compromesso per accorciare la via del ritorno dal progetto iniziale. Il sentiero è stato lungo e noioso da scendere come avevamo preventivato ma tragico è stato l’attraversamenmto del piano. Nonostante una linea di attraversamento più diretta rispetto a quella del mattino ci è voluta più di un’ora per arrivare alla macchina. Da prima sulla sterrata malridotta della ex miniera poi velocemente perché durasse meno, sulle gobbe del piano sotto un sole cocente. Alle 14 e 20 però alla fine ci siamo arrivati; stanchi sfiniti con i piedi che non ne volevano più. Ce la siamo presa comoda nonostante il caldo furioso del sole che picchiava a martello senza un minimo di ombra; abbiamo dato fine alle nostre scorte e soprattutto ci siamo scolati le riserve di acqua. Tramontata anche l’intenzione degli arrosticini perché la folla intorno alle baracche prometteva solo una lunga fila al bancone ce la siamo filata verso casa. Un’ultima occhiata al Prena con la soddisfazione di averlo dominato e l’ultimo rimpianto per esserci lasciati sfuggire la Cimetta. Questa cima che manca alla mio curriculum, in un primo momento , l’ho individuata nelle guglie ad est del Prena, quelle studiate da Luca col binocolo e che ho giudicato quasi impossibili; queste sulle carte vengono riportate come una delle creste est del Prena. La Cimetta invece è l’ultima vetta della stessa dorsale, facile da raggiungere, con nessuna difficoltà alpinistica; più o meno una quarantina di minuti tra andata e ritorno dopo lo scavalcamento della cresta principale del Prena. Che rabbia l’ennesima ingenuità nella programmazione e l’ennesima vetta persa per niente. Ma quando finisco di crescere?